In questi giorni, per motivi professionali, mi sto dedicando alla visione di vari documentari che raccontano l’epoca nazionalsocialista, come – per esempio – “Dawn Of The Nazis” e anche “Hitler, l’ultimo anno” e “Apocalypse: Hitler”, una serie pazzesca con la splendida regia “di coppia” di Isabelle Clarke e Daniel Costelle (quest’ultimo un documentarista DOC con all’attivo circa 180 documentari).
Che tempi di follia che il mondo ha vissuto.
Tralasciando però il dramma dilaniante degli stati totalitaristici (che non possono non interrogarti sulla ferocia umana), sono rimasto molto colpito dalla qualità di queste produzioni documentaristiche.
Sono cresciuto in Germania; ci siamo trasferiti lì con la famiglia che avrò avuto circa 6 anni. Ero abituato a vedere foto e video di quell’epoca sempre in bianco e nero. Vedere il nazionalsocialismo a colori e sentirlo in 5.1 è stato ancora più impattante.
Sempre per motivi di lavoro mi trovo anche a dover imparare a canticchiare una canzone interpretata dalla diva anti-nazista per eccellenza, la divina Marlene Dietrich. E la canzone è Lili Marleen.
Ecco, anche questa canzone ha una sua storia molto singolare che mi ha colpito.
Il testo – una poesia – è stato scritto da un poeta tedesco (Hans Leip) durante la prima guerra mondiale e narra gli incontri amorevoli sotto ad un lampione tra un soldato tedesco e la sua ragazza. Successivamente questa poesia venne musicata da Norbert Schultze con un motivetto molto marciante e marziale (… che ancora oggi a me personalmente mette inquietudine…) ed interpretata dalla cantante Lele Andersen.
Solo che il ministro della propaganda del Reich, Joseph Goebbels – chiamato anche “Il diavolo zoppo” -, ne osteggiò la diffusione considerandola troppo sentimentale e non adeguata allo spirito di guerra. Una canzonetta che indebolisce, invece di rafforzare, che ti porta ad anelare ricordi nostalgici di serenità e di pace.
Ma il generale Erwin Rommel, conosciuto come “La volpe del deserto” (Wüstenfuchs), ebbe modo di sentirla, in via del tutto eccezionale, durante una trasmissione radiofonica e chiese di inserirla nuovamente nel palinsesto.
E qui si fa interessante.
Praticamente (ed ovviamente) tutto ciò che dicevano o facevano i tedeschi veniva ripreso dai sistemi di spionaggio degli alleati.
Fu così che questa canzone arrivò anche alle orecchie delle armate avversarie trovando altresì gradimento.
Tant’è vero che la Dietrich stessa, quelle volte che andava al fronte per esortare gli animi dei soldati americani, si trovò a cantarla donando così a questa canzone il fascino eterno della sua voce, incidendola poi nel 1944.
Lili Marleen è la canzone che più di altre è sinonimo di guerra mondiale, riuscendo nell’impresa incredibile di unire animi nemici e, chissà, forse ha contribuito anch’essa alla custodia della speranza.
Stiamo vivendo (di nuovo?) tempi dove urge rinnovare ottimismo e buona pratica è quella di curare la bellezza.
L’arte – in tutte le sue forme – è forse l’unico passepartout per instillare coscienza della fraternità della nostra umanità.
E Lili Marlene, bella più che mai
Sorride e non ti dice la sua età
Ma tutto questo Alice non lo sa.
PS: E sì, serve recuperare anche il documentario di Pietro Suber, “Lili Marlene – La guerra degli italiani“!
PPS: Segnalo anche il documentario “True Story of Lili Marlene” di Humphrey Jennings, una ricostruzione prodotta dal Ministero Britannico dell’Informazione del 1944… (quindi con una visione propagandistica dichiarata). Clicca qui: https://it.wikipedia.org/wiki/File:The_True_Story_of_Lili_Marlene_(1944).webm